Curiosità

Un cigliegio in fiore veglia sulla Botte di Luciano

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Correva l’anno 1602 ed i lavori di messa a nuovo del Castello di Torrenova richiedevano acqua pulita, fresca.
Allora venne scavato un tunnel sotterraneo tra il punto della sorgente che alimenta un fosso nelle vicinanze di
Passolombardo ed il Castello stesso. E’ così che la Botte di Luciano entra nella grande storia.

Su Google Map se si cerca Botte di Luciano, si viene catapultati in via Botte di Luciano,
ma bisogna fare attenzione: la Botte, quella vera, non è li. Ma non è neppure lontana.
Bisogna andare dall’altra parte di via Passolombardo e cercare un quadratino verde
miracolosamente sopravvissuto ad un gruppo di case costruite qualche anno fa. A pochi passi c’è un grande supermercato.
Circondata da un muretto alto circa un metro, si può scorgere così la mitica calotta chiamata Botte, che ancora oggi
porta l’acqua a Torrenova. Se si guarda poi con attenzione la mappa digitale, si
scorge anche una foto, con un titolo romantico: “ciliegio in fiore veglia sulla botte di Luciano”. La botte c’è, ma non
appare. Quasi un invito a fare una passeggiata. Magari, nella stagione delle giliege.


Chiavari, dove riposa don Romano

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Il 12 ottobre del 2016, nell’ospedale di Lavagna, in provincia di Genova, ci lascia don Romano Avvantaggiato,
il primo parroco di Giardinetti, dal 1963 al 1974. Personaggio dai mille volti, un gigante in quegli anni lontani
a Giardinetti, dove grazie a lui, diversi piccoli gruppi di case, sparsi qua e la e spesso uniti solo da piccoli sentierini,
si ritrovano per scoprirsi quartiere. Mitiche le feste parrocchiali di quegli anni, con una partecipazione vivissima di
tutto il quartiere.
Gli ultimi anni della sua vita, malato, li ha passati nella casa del clero di Chiavari, non lontano da Genova, dove vive il fratello
Luciano. E nel cimitero di Chiavari ha chiesto ed ottenuto di essere seppellito.
Strano epilogo, per una persona che, fino a che le gambe glielo hanno concesso, amava girare per Roma, infilarsi nei suoi viottoli
per scherzare con i passanti, riconosciuto ogni tanto da qualcuno. Anche l’uomo del cimitero ricorda quel giorno,
in cui “arrivò il Monsignore”. Nella sua lampide un mazzetto di fiori secchi, e tutt’intorno un panorama bellissimo.


Borghesiana, la casa di Mezzacapa, i ladri di biciclette ed i ragazzi della III C

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Forse non tutti lo sanno, ma il grande cinema, quello con la C maiuscola, è passato anche di qui. Un nome per tutti,
Ladri di biciclette: il protagonista, l’uomo al quale rubano la bicicletta tanto per essere chiari, abitava a Villaggio
Breda. Nella sua pagina su Wikipedia si legge: “Era operaio nella fabbrica romana della Breda quando Vittorio De Sica lo
scelse come protagonista per Ladri di biciclette. Dopo il film ritornò a fare l’operaio ma, licenziato per diminuzione di personale,
intraprese di nuovo la carriera di attore. Nel decennio degli anni cinquanta è apparso in numerosi film come caratterista. Sposatosi con
Pina Nicolich, tenta anche l’avventura teatrale recitando a fianco di Tino Buazzelli in Come nasce un soggetto cinematografico diretto
da Virginio Puecher nel 1959.”
Potrebbe anche bastare, ma non è tutto. Gli amanti di Totò non crederanno ai loro occhi. Il mitico “Totò Peppino e la malafemmina”,
almeno in alcune scene fu girato dalle nostre parti. In particolare si può riconoscere ancora oggi la casa di Mezzacapa ed i bellissimi
scenari del lancio del sasso: basta andare dove termina via Borghesiana e inizia via di Ponte di Nona. E’ la prima casa sulla destra.
Ma rivedendo il film è facilissimo riconoscere il tutto.
E non è finita. “Tutti a casa” il capolavoro di Luigi Comencini, con Alberto Sordi, Eduardo De Filippo e ancora Totò: be, alcune scene
furono girate sempre a Villaggio Breda, andando verso Villa Verde, dove c’era un antico casale.
E Giardinetti? Beh stavolta dobbiamo accontentarci. Negli anni ’80, in via Pietro Piffetti c’era la Cartolibreria 80. E sicuramente
chi ha vissuto quegli anni ricorderà la serie televisiva “I ragazzi della III C”: la cartoleria di Ciro era proprio lì.


Don Camillo e Peppone al Centro S. Antonio

1965CentroSanAntonio

“I Padri Giuseppini del Murialdo nel dopoguerra a Roma puntarono sulla Formazione Professionale come
risposta all’esigenza di ricostruire l’uomo nella sua vera dimensione e ridare un nuovo volto alle
cose che la guerra aveva distrutto.
L’invito di Mons. Baldelli, organizzatore della P.O.A. (Pontificia Opera Assistenza) li portò ad assumere
la Direzione dell’ENAP (Ente Nazionale Addestramento Professionale) con il P. Carlo Teso e il Centro
“S. Antonio” istituito nel quartiere Casilino di Roma con il P. Vittorio Saccucci nel 1948. Oltre alla
qualifica professionale per i giovani si offriva un pasto caldo e assistenza sanitaria e
psicologica accanto ad un’equipe di medici e psicologi. La positiva esperienza del Centro S. Antonio
nel 1958 spinse il P. Libero Raganella,…, a dare vita al C.A.P. (Centro Addestramento Professionale)
“San Paolo” con corsi per Elettricisti Impiantisti e Montatori Riparatori Radio-TV, corsi
finanziati dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.”, Paolo Faila, Presenza ENGIM 1/2012.

“Il Centro Sant’Antonio è un fabbricato che sorge all’altezza del tredicesimo chilometro della via Casilina,
in località Giardinetti, su un’area di cinque o seimila metri quadrati. Era nelle intenzioni dei costruttori
di farne un opificio: cameroni lunghi e non molto rifiniti, finestre alte due metri dal suolo, servizi
igienici raggruppati come accade appunto nelle fabbriche.
Nel ’50, in occasione dell’Anno Santo, lo stabile passò nelle mani dell’attuale Pontificia opera di assistenza.
Vennero rizzati divisori di mattoni, fu data una ripulita all’insieme e l’opificio venne adattato ad albergo
per i più scalcagnati tra i pellegrini. Passata la festa, lo stabile passò al Comune ; la Pontificia
lo ebbe in gestione: vi stabilì una piccola filanda e destinò una parte dei locali a centro di emergenza per gli
sfollati.
Da allora il Sant’Antonio è stato perennemente occupato. Attualmente vi abitano 27 famiglie, alcune delle
quali sono ospiti del Centro da tre anni…..Il Centro è formato da un pianterreno e da due piani elevati. Il
pianterreno è diviso in tante cellette, due metri per due, separate le une dalle altre da divisori alti
appena più di un uomo. La luce del sole entra dai finestroni, insieme con la polvere, con il freddo notturno
e con la pioggia, dato che i vetri, in massima parte, sono volati via. La luce elettrica piove
sul capo degli ospiti da alte lampadine fissate nei corridoi, come avviene nella maggioranza
degli stabilimenti di pena. ” Antonio Perria, L’Unita, 6 ottobre 1956.